Il senso del fare - Postilla #23
Il senso del lavoro manuale nella cultura italiana e in quella anglosassone: gli effetti di una demonizzazione e la riscoperta del lavoro come opera.
Ogni lunedì mattina noi Officiners ci incontriamo per iniziare la settimana bevendo un caffè insieme, alle 8.30, in call (dicono quelli bravi) senza una agenda operativa prestabilita, con il solo obiettivo di condividere riflessioni e esperienze fatte nel weekend o nell’ultima settimana.
Si, l’intento è prevalentemente quello di “cazzeggiare”.
Che magari per qualcuno non è il modo migliore di iniziare la settimana. Ma nella nostra logica di lentezza creativa è un’iniezione di ispirazioni, idee, momenti, che ci permettono di prendere la rincorsa, ciascuno verso i propri impegni individuali e verso quelli collettivi che ci vedranno in azione come gruppo.
Una prima cosa divertente che notavamo è che pur senza un’agenda prestabilita, da quando abbiamo deciso “ok, il lunedi si cazzeggia” finiamo per essere concretissimi e ci sono temi che ci riportano costantemente a quello che - con passione - facciamo nelle nostre vite.
E quindi si finisce in una forma di ozio creativo che sì, ci piace parecchio.
Il senso del fare
Con tutta probabilità Sara un giorno aprirà una forneria. O per lo meno così ci ha raccontato. Un passaggio curioso, da un’attività - la sua, attuale - prevalentemente intellettuale ad un qualcosa di molto fisico ed operativo.
Giovanni - in proposito - ci ha raccontato una sua impressione relativa ai suoi 4 anni a Manchester. In particolare come, in Inghilterra, sentisse un distacco culturale rispetto all’Italia tradotto in una diversa concezione del lavoro manuale.
Persone che da una parte sono baristi o panettieri o commessi part time, ma che nel frattempo provano a creare una loro linea creativa, a proporsi nel mondo dell’arte, del giornalismo, delle professioni intellettuali che (come accade in Italia) spesso non danno immediatamente ritorni salariali apprezzabili. E forse non li daranno mai.
Questo accade - probabilmente - perché anche i lavori più umili (in parte per livello di salario, in parte grazie ad alcune esenzioni fiscali) permettevano abbastanza presto di crearsi una minima indipendenza.
Parliamo, sia chiaro, di un paese (l’Inghilterra) in cui la stratificazione sociale (esiste ancora la nobiltà ed una propria rappresentanza politica in quanto tale) è molto più marcata che da noi e - al di là della narrazione sulla meritocrazia - è facile toccare con mano il senso di continuità di classe tra generazioni.
La riflessione ci ha portato a pensare che la cultura (sacrosanta, sia chiaro) dell’operaio che vuole il figlio dottore ha in realtà generato una mentalità di status che vede il lavoro di pensiero come un qualcosa di superiore rispetto a quello con cui ci si sporca le mani.
Vorremmo che non fosse così ma abbiamo l’impressione che oggi si venga visti più per i ruoli che abbiamo che per quel che siamo. In parte un atteggiamento figlio di un rapporto a dir poco conflittuale con l’idea di fallimento, ma non solo.
Una rappresentazione quasi teatrale della realtà, dove i curricula valgono fino al momento dell’assunzione, la mobilità è scarsa e l’idea che ci si fa di noi stessi cristallizzata ora e per sempre. Fino a che qualche agente esterno, magari casuale, non cambierà il nostro status.
Ed invece una delle cose che creano più ricchezza è la contaminazione. L’essere manager che si sanno calare anche nella parte operativa.
In Inghilterra tutto ciò è retaggio di un passato lontano. I borghesi di Liverpool (per lo più commercianti legati alle attività portuali) chiamavano gli imprenditori di Manchester (dediti alla trasformazione delle materie prime, cotone in particolare) “ricchi con le mani sporche”, perché spesso chiamati ad intervenire ad aggiustare i macchinari malfunzionanti in prima persona.
Ma parliamo di oltre un secolo e mezzo fa.
Oggi diventa fondamentale lavorare come individui e come aziende, sulla propria identità, sul proprio percorso, sugli obiettivi di breve, medio e lungo periodo.
A volte lo si tocca con mano in alcune città del Sud Italia (Lecce sta dentro molte narrazioni, ma anche Palermo e Cagliari avrebbero qualcosa da dire) in cui è evidente che qualche giovane emigrante di ritorno (dal Nord o dall’Europa) ha riportato a casa qualcosa di interessante.
E magari ha aperto un negozio, una bottega o anche un ufficio, in cui entrando respiri un’identità capace di sommare le esperienze “fuori” e la tradizione del posto.
Perché solo il non lavoro è estraniante, mentre il lavoro manuale che da noi gode di pessima pubblicità porta sempre con sé un valore che quando tradotto in identità aziendale supera la dicotomia tra attività manuali e intellettuali.
Ed in questo percorso possiamo capire come entrambe siano in realtà due momenti della creazione di un’identità che rappresenta un momento unico di creazione.
Intanto Oxi…
LinkedIn. Oxigenio in OfficinaStrategia non si è mai realmente innamorata dei social network. Il solo con il quale flirta è LinkedIn. E proprio per dare un contributo che vada oltre il crescente complimentismo stucchevole del Facebook dei cv, recentemente grazie all’opera di selezione ed editing di Stefania offrono spunti di riflessione e collegamenti che riteniamo interessanti per chi è attento ai nostri temi.
Questa settimana in particolare abbiamo tratto spunto, rilanciandolo, da un post di Gabriella Poggi che parla del suo contributo a Commentario riportando l’incipit del suo articolo su Antifragile (il secondo della serie), in cui tra le altre cose evidenzia la differenza tra forza e controllo:
La nostra vita è manifestazione di movimenti fisici, mentali, emotivi. Possiamo scegliere sempre come muoverci, cosa creare e come crearlo. (…)
Desideriamo avere muscoli tonici, mente determinata, energia elevata. Vuol dire essere forti? Essere più forti di tutto e di tutti? No, vuol dire essere performanti grazie a movimenti consapevoli e in grado di aiutare la sinergia tra corpo e mente, lasciando spazio alla nostra autenticità. (…)
Chi è preparato a ben performare è antifragile ovvero è in grado di sostenere movimenti efficaci ed efficienti, connessi con il proprio essere autentico sia nella vita di tutti i giorni, lavorativa o di relazione, che durante la pratica sportiva, amatoriale o professionale. (…)
Se ancora non ci segui su LinkedIn: ci trovi qui.
In questo mese abbiamo parlato anche di TorArt e di punti di rottura che mettono in moto il cambiamento.
Appuntamenti
Dicembre non pare essere mese di Festival e convegni. Godetevi quindi le cene aziendali natalizie ricordandovi che per quanto solida la vostra reputazione possa essere, quel che accade in quelle occasioni verrà ricordato molto più facilmente, vita naturaldurante, da tutti i vostri colleghi.
Letture, ascolti, visioni
Questo capitolo si chiamava “Letture” fino al numero scorso di Postilla. Ora abbiamo aggiunto ascolti e visioni perché non volevamo finire nel calderone snob di quelli che “era meglio il libro”. Esistono input di qualità e valore non solo dalla lettura, prendiamone atto.
L’Italia del mare e dei paesi. Iniziamo dai libri, comunque. Ci sono due pubblicazioni recenti che vogliamo consigliarvi e che sono fortemente legate alla nostra riflessione recente sulle identità territoriali e dei luoghi. Il primo è “L’Italia ha paura del mare” di Francesco Maselli, che indaga il rapporto complesso di un paese che nonostante l’80% di coste ha un rapporto davvero complesso (conflittuale) con il mare. Il secondo è “L’Italia vuota, viaggio nelle aree interne” di Filippo Tantillo. Un viaggio dove i paesi si spopolano, la popolazione invecchia e il paesaggio perde la mano dell’uomo.
Friedman aveva torto. Ci siamo inoltre riconosciuti in questo articolo di EconomyUp: Friedman aveva torto: non è vero che il business delle imprese è solo fare business.
Community. Tre suggerimenti se state creando una community e avete bisogno di ispirazione, metodo e conoscenza. Una puntata del podcast “Hacking creativity”, la newsletter di Alessio Fatturini “L’Arte della community” e il libro Post social media era in cui gli autori propongono un'attenta e lucida analisi sulla fine della Social Media Era e una previsione del futuro che attende utenti e aziende.
E anche per il numero 23 è tutto.
Se hai temi da suggerirci per questa newsletter o vuoi in qualche modo contribuire, lasciaci un commento! Secondo noi questa era la più bella Postilla di sempre.
Ci risentiamo nel 2024.